ADI – Ripensare da subito al destino degli istituti professionali

Per quanto i licei segnino ancora una leggera crescita, pare in parte esaurita la folle corsa dell’ultimo decennio alla licealità ed in particolare ad una licealità leggera, più status symbol che strumento serio di sviluppo per la propria vita professionale e per la struttura economica del paese.

E’ ancora un’affermazione prematura, ma alcuni indizi ci sono. Forse comincia a dare qualche frutto la maggiore circolazione delle informazioni sull’utilizzo dei titoli acquisiti e sul dilagare della disoccupazione giovanile. Teniamo conto che si è trattato di una tendenza europea che ha accompagnato nel decennio l’euforia economica e dei consumi e che pertanto non sarà semplice tornare indietro, soprattutto in un paese come l’Italia che non ha mai brillato per diffusione e radicamento della cultura del lavoro.

La diminuzione del liceo classico, a favore in parte del linguistico in crescita, è per certi versi naturale: questo tipo di formazione è ancora nelle grandi città italiane appannaggio dei rampolli dei ceti dirigenti, ma già da tempo nelle province sta divenendo quello che è in Francia, il paese a noi più simile dal punto di vista culturale, cioè un luogo di formazione specialistica per interessi culturali specifici seri frequentato soprattutto dalle ragazze. Sembra questo l’unico modo per preservare il nostro storico patrimonio culturale, fallita come pare l’ipotesi di distillarlo a tutti i cittadini italiani attraverso dosi sempre più diluite. Molti sono quelli che pensano che questa strategia non abbia dato significativi e visibili esiti nel profilo complessivo culturale del nostro paese (vedi percentuali di lettori). E della nostra classe dirigente.

Il liceo scientifico cresce, ma diminuisce quello tradizionale, scuola calderone nel quale confluiscono le istanze le più diverse e nel quale il povero latino viene a forza somministrato a tutti con esiti incerti. La diminuzione dei posti nella Pubblica Amministrazione raccomanda fortemente che questa tendenza continui e si incrementi. Chi aumenta è invece il liceo scientifico vero cioè quello delle scienze applicate.

Cala il liceo delle scienze umane a favore dell’economico-sociale. L’arretramento del liceo leggero delle scienze umane è un segnale positivo, e dovrebbe calare ancora di più, sarebbe un indizio di sano ravvedimento. Sarebbe infatti bene che tornasse alla istruzione tecnica quello strato sociale piccolo borghese che ne è fuggito, con risultati disastrosi dal punto di vista occupazionale per loro e produttivo per il paese.
Nonostante l’impegno a senso unico di Confindustria non sembra infatti che l’istruzione tecnica abbia decollato significativamente.

L’istruzione professionale, è in notevole calo, tranne il settore dell’albergazione e dell’enogastronomia, forte particolarmente al Sud, la sola specializzazione in crescita insieme all’agricoltura.

Nonostante il disimpegno di Confindustria che ha lasciato – per centralismo antiregionale -che l’istruzione professionale statale rimanesse in braccio a mamma stato, oggi nel quadrante della formazione per il lavoro è la formazione professionale a dare i migliori risultati. Ma non l’istruzione professionale quinquennale voluta dal Ministero e da presidi ed insegnanti improvvidi, bensì la Istruzione e Formazione Professionale delle Regioni che comincia a darsi un profilo completo con il diploma di 4° anno (equiparato nell’ European Qualification Framework ai diplomi quinquennali statali), un 5° anno per chi volesse transitare all’istruzione ed una formazione terziaria che, nonostante molte confusioni e sprechi, sembra profilarsi all’orizzonte. Certo, si tratta solo di alcune regioni – soprattutto la Lombardia come ammette lo stesso Lo Bello vicepresidente di Education Confindustria- ma forse qualcuno comincerà a capire che solo le strategie a geometria variabile possono sperare di muovere qualcosa in questo paese.

E’ tempo che sull’istruzione professionale si torni velocemente a ragionare e si proceda come a Trento e Bolzano: gli istituti professionali statali non hanno più ragion d’essere. Occorre convertire quelli esistenti in parte in istituti per la formazione professionale regionale, in parte in istituti tecnici.

Una risposta a “ADI – Ripensare da subito al destino degli istituti professionali”

  1. Gli Istituti Professionali servono e come,il problema principale è quello di ridare un peso specifico alle ore di attivita pratica negli istiuti ,dove l’Itp era il docente che formava i ragazzi in modo pratico e reale la discliplina per un impiego nel mondo del lavoro.
    Ora come si puo formare un ragazzo se non ci sono piu le ore dell’attivita pratica tagliate del 60%.
    Inoltre con le attivita pratiche la lotta alla dispersione scolastica ed abbondono scolastico sicuramente veniva contrastato. I politici devono capire che per formare ci vuole tempo,mezzi e riconoscenza per motivare ancora i docenti perche sono loro che tengono la scuola in piedi qualvolta pagando anche di tasca propria (soldi) pur di insegnare qualcosa di buono ai ragazzi.OCCORRE INCREMENTARE LE ORE DI ESERCITAZIONI.

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