Istituto Professionale per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera. O, come dicevan tutti, Alberghiero. Dallo scorso 16 gennaio e fino al prossimo 6 febbraio, i ragazzi che frequentano la Terza Media devono iscriversi alle scuole superiori e fare la prima scelta importante della loro vita: i cinque anni successivi possono essere determinanti per il loro percorso di crescita.

L’Alberghiero è una scelta che riscuote sempre più consenso. I numeri dell’Istat parlano chiaro: nel 2014, ultimo anno per il quale sono stati pubblicati i dati sul sito, gli studenti che frequentavano questa scuola erano circa il 7% del totale. Ma è la crescita a sorprendere: dal 2009 al 2014, infatti, gli iscritti sono aumentati di circa il 25% (nessun altra scuola ha fatto meglio) e la sensazione è che il trend si sia consolidato nel corso degli anni successivi. Un successo meritato o, piuttosto, figlio di quel fenomeno di costume che negli ultimi anni ha sdoganato la cucina, trasformandola da argomento di chiacchiere tra massaie a motivo di successo degli star-chef? Risposta ardua che proviamo a costruire approfondendo la questione.

L’Alberghiero ha un corso di studi distribuito sui canonici cinque anni. I primi due sono uguali per tutti gli studenti, mentre il triennio successivo prevede tre diversi indirizzi: enogastronomia (scelto dal 60% dei ragazzi, quelli che vogliono lavorare in cucina), servizi di sala e di vendita (30% delle adesioni, raccolte tra chi vuole lavorare in sala e dietro il bancone di un bar), accoglienza turistica (10% degli studenti, quelli che si vedono nel settore turistico alberghiero).

Viaggio nell'Alberghiero: cosa c'è che non va nella scuola per cuochi e camerieri?

 La “Sala” è il secondo degli indirizi più seguiti negli alberghieri

Il biennio iniziale serve per orientarsi: le materie di indirizzo vengono studiate tutte e tre (due ore settimanali per ciascuna) in modo tale che i ragazzi possano capire meglio di cosa si tratta e quale delle tre sia per loro la più adatta. Una modalità che alcuni contestano, ma che sembra venire incontro all’esigenza di far compiere la scelta a ragazzi più maturi (tra i 15 e i 16 anni) e non a tredicenni ancora acerbi. In più è da considerare che il contesto lavorativo sarà eterogeneo, quindi conoscere a grandi linee quali sono i compiti delle varie figure professionali potrà sicuramente tornare utile. È possibile cambiare indirizzo anche nel triennio successivo ma, in questo caso, è necessario superare un apposito esame che dimostri la preparazione specifica. E le altre materie, quelle che si studiano in tutte le scuole superiori? Ci sono, ma hanno uno spazio ridotto: quattro ore settimanali di italiano, altrettante di matematica, una in meno per lo studio dell’inglese. Poi un assaggio di tanti altri argomenti, con una frammentazione forse eccessiva: nel primo anno, ad esempio, le trentadue ore complessive settimanali sono suddivise su quattordici materie.

Nel triennio i laboratori tecnici, diversi per ciascun indirizzo, diventano la materia più importante. Ma non finisce qui, perché aumenta l’impatto di tutte le materie specialistiche: Scienza e Cultura dell’Alimentazione, ad esempio, merita lo stesso spazio di Italiano; Diritto e Tecniche della Struttura Ricettiva supera Matematica. E’ giusto, visto che si tratta di un istituto professionale e quindi il suo principale obiettivo è quello di formare giovani pronti al lavoro.

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 Uno degli indirizzi è l’accoglienza turistica

Però chi, una volta arrivato alla fine del percorso di studio, dovesse rendersi conto che la scelta fatta cinque anni prima non è stata quella giusta, ha poche possibilità per recuperare. L’accesso all’Università, infatti, è reso complesso da una preparazione di base sicuramente inferiore a quella delle altre scuole superiori. E infatti, come certifica l’Istat, nel 2015 gli studenti che dopo aver fatto l’Alberghiero si sono iscritti all’Università erano solo il 13% e i laureati, addirittura, appena l’1,5% (in entrambi i casi il risultato peggiore di tutte le scuole superiori). Ovviamente la ragione di tanto insuccesso non sta solo in una preparazione generalista meno solida. La classifica, infatti, si rovescia completamente se si guarda al mondo del lavoro. I ragazzi che escono dall’Alberghiero sono quelli che più facilmente trovano impiego, quindi lo stimolo a proseguire gli studi viene facilmente meno. È l’altra faccia della medaglia, quella che, almeno in parte, può spiegare l’aumento delle iscrizioni negli istituti alberghieri. Secondo l’Istat, infatti, nel 2015 il 67% dei ragazzi aveva trovato un lavoro entro i quattro anni dal diploma e poteva contare su una retribuzione media di poco superiore ai 1000€.

L’Alberghiero è quindi un’ottima scelta per chi vuole trovare un lavoro il prima possibile. Ma il lavoro che si trova è davvero quello che si sogna? I diplomati diventeranno tutti grandi cuochi e finiranno a fare i giudici di MasterChef? La sensazione, infatti, è che molti dei ragazzi che scelgono di fare l’Alberghiero abbiano questa ambizione. Lecita, ma figlia della superficialità. Per i tredicenni lo chef è quello che strilla alla brigata, quello che controlla i piatti al pass, quello che va in televisione e fa la star, quello che in tasca ha un sacco di soldi. Quando si inizia a frequentare la scuola, i primi nodi vengono al pettine. Si inizia a capire che per andare avanti servono passione, impegno, volontà, dedizione, disciplina, talento.

Viaggio nell'Alberghiero: cosa c'è che non va nella scuola per cuochi e camerieri?

 Lo chef Adriano Baldessarre, anche insegnante all’Istituto Tor Carbone

“Oggi i ragazzi non hanno l’approccio giusto, non hanno voglia di sacrificarsi. Bisogna avere l’umiltà e la passione di apprendere una professione. Devi studiare, pensare cucina. Senza diversivi. Sembra duro ma è così”. Le sentenze di Adriano Baldassarre, chef stellato del Tordomatto di Roma, non lasciano spazio a equivoci: astenersi perditempo! “Io ho scelto di fare l’Alberghiero perché volevo fare il cuoco, oggi mi sembra che molti ragazzi lo facciano perché la considerano una scuola più facile delle altre. E infatti sono anni che non mi capita di incontrare un ragazzo veramente forte che venga da quella scuola”. Nonostante le parole dure, Adriano ha un ottimo ricordo del suo periodo scolastico: “Quello che ho imparato a scuola è stato importante, ancora di più lo sono state le esperienze che la scuola organizzava presso i ristoranti. A quindici anni, durante la stagione estiva, lavoravo fino a diciotto ore al giorno. I miei amici andavano al mare, io stavo chiuso in una cucina: è così che ho capito davvero quanto fosse forte la mia passione!” E allora la domanda è facile: a un ragazzo che sente davvero di essere appassionato, Baldassarre consiglierebbe di fare l’alberghiero? “Sì, ma senza dimenticare mai che quello è solo l’inizio, poi devi formarti da un punto di vista pratico. E prima inizi, meglio è!”.

Dentro una scuola: Siamo al Tor Carbone, una delle scuole più belle di Roma: tre villette nel verde del parco dell’Appia Antica, a due passi dalla Regina viarum. Qui hanno vissuto anche Roberto Rossellini e Ingrid Bergman, le loro iniziali sono incise sul caminetto che scalda la sala in cui veniamo accolti. La tavola apparecchiata, il profumo di cucinato, i ragazzi con la divisa di servizio. Non è che abbiamo sbagliato indirizzo? Cristina Tonelli, dirigente scolastico, ci rassicura: “Cerchiamo di organizzare qualche evento, sia per trovare o rafforzare le collaborazioni esterne (in questo caso un’associazione di sommelier) sia per mettere alla prova i nostri studenti.”

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 L’esterno dell’Istituto Tor Carbone

L’istituto è alle soglie dei cinquant’anni, ma il dirigente è arrivato da poco e sembra stia lavorando bene. Per una scuola professionale, infatti, è importante organizzare attività extra scolastiche. Per questo vengono organizzati i gemellaggi con altre scuole italiane e estere, i viaggi formativi, i corsi di approfondimento delle lingue straniere, fondamentali al punto che solo i ragazzi che li superano e ottenengono la relativa certificazione possono partecipare agli stage all’estero. Gli stage sono il momento di formazione sul campo previsto dai programmi ministeriali. Si tratta di quattrocento ore complessive da fare nel secondo triennio, più o meno un mese l’anno. Sono giorni cruciali per la formazione di ragazzi che escono dal contesto protetto della scuola e affrontano un mondo del lavoro che, quasi sempre, si rivela diverso dalle aspettative. Alcuni dei ragazzi ne sono soddisfatti, altri tornano a scuola delusi.

Colpa di chi li ha ospitati o cattiva volontà dei ragazzi? Difficile capirlo, del resto sono tutti molto giovani e l’inserimento in strutture complesse non è facile, specie su un orizzonte temporale così breve. Anche perché se è giusto che i ragazzi facciano esperienza, è anche vero che le attività commerciali non possono permettersi errori che ricadano sulla clientela. E infatti, specialmente per quanto riguarda sala e accoglienza, le scuole iniziano a trovare difficoltà nel trovare strutture pronte ad accogliere gli stagisti, nonostante i ragazzi vadano a titolo completamente gratuito. Purtroppo le scuole, diversamente dal passato, non riescono a organizzare le stagioni estive per i  ragazzi a causa di questioni burocratiche che sarebbe auspicabile fossero superate attraverso i necessari provvedimenti ministeriali. In ogni caso le scuole mantengono vivi i contatti con le strutture interessate, segnalando gli studenti disponibili e demandando alle parti il raggiungimento di un accordo.

Tra attività extra scolastiche, acquisto del materiale per i laboratori e fornitura delle materie prime, le spese per un istituto alberghiero sono tante. Ma la scuola italiana non è senza soldi? “I fondi che ci danno cerchiamo di sfruttarli al meglio” – ci dice la professoressa Tonelli – “ma da soli non bastano. Quindi ci autofinanziamo, gestendo tre attività di bar e piccola ristorazione all’interno di altrettante scuole romane e partecipando alla cooperativa di professori, genitori ed ex studenti che gestisce il ristorante I Carbonari, al centro di Roma. I proventi, per delibera del Consiglio d’Istituto, sono destinati per metà a interventi formativi e per metà all’acquisto di materiale didattico”. Piacevole effetto collaterale è l’ulteriore esperienza lavorativa dei ragazzi, che imparano a confrontarsi non solo con cucina e sala, ma anche con questioni di budget. Anche sulle materie prime si sta cercando di migliorare l’approccio: se da una parte il grosso degli acquisti va fatto ricorrendo ai bandi di gara, come d’obbligo per tutta la Pubblica Amministrazione, si cerca comunque di fare almeno i piccoli acquisti da produttori del territorio; l’olio, invece, nasce dagli ulivi di proprietà, cui si sta cercando di affiancare anche un orto.

Più luci che ombre, quindi. Ma i ragazzi scelgono l’Alberghiero perché sanno queste cose o c’è dell’altro? “La sensazione è che l’aumento delle iscrizioni possa dipendere anche dal sistema mediatico, che ha portato in primo piano il mestiere di chef. Poi, come è sempre stato, c’è anche chi sceglie l’Alberghiero perché crede sia una scuola più facile delle altre” – ci spiega il dirigente scolastico. Convinzione smentita dal tasso di ripetenti, che con il 12% (dato nazionale del 2014) supera ampiamente la media complessiva delle scuole superiori, ferma al 7,5%. “Nella nostra scuola si boccia molto, ma registriamo un tasso di abbandono piuttosto contenuto, intorno al 3%.”

E dopo la scuola che possibilità ci sono? “I nostri ragazzi vengono seguiti su tutte le materie tradizionali, siamo un istituto professionale e non una scuola di cucina. Il nostro obiettivo principale è formare al lavoro, quindi non ci si può aspettare una preparazione che abbia come sbocco naturale l’Università. Comunque alcuni dei nostri ragazzi proseguono gli studi, magari iscrivendosi alla facoltà di Scienze e Culture Enogastronomiche di Roma 3. Sia che si decida di andare a lavorare, sia che si provi a continuare gli studi, a fare la differenza è, come al solito, la buona volontà dei ragazzi!”.

Fote: Repubblica